Lo so, ogni tanto mi succede, mi scappa il titolo provocatorio. Sarà carattere.
Vabbè, in ogni caso, sei pronto? Oggi alziamo l’asticella…
PREMESSA
“Gestione del Cambiamento” (o Change Management, pare faccia molto figo dire così) è uno dei mantra del momento, una bandiera sventolata da manager, consulenti, responsabili delle risorse umane (“risorse umane” non si può più sentire!), politici, amministratori ecc.
Quello che non riesco a sopportare è la dabbenaggine di molti fra coloro che se ne dichiarano portatori o sostenitori o esperti conoscitori: sto ancora aspettando che qualcuno mi spieghi come sia possibile intavolare questo argomento senza mai coinvolgere le dinamiche sistemiche, quelle che si innescano quando, a un sistema, viene apportata (o si cerca di apportare) una modifica. In compenso si vedono modelli di un’astrusità così sterile da essere… sconsolanti.
Oltre a millantare una competenza che, con tutta evidenza, non si possiede, si getta a mare anche la straordinaria opportunità che le leggi dei sistemi ci offrono di innescare cambiamenti equilibrati, controllati, a basso costo ed ecologici (il significato di “ecologico” in ambito organizzativo lo hai visto la volta scorsa).
Per chiarire cosa intendo voglio proporti un assaggio di orientamento sistemico nell’interpretazione della realtà e nell’interazione con essa iniziando con il caso di un cambiamento desiderato (causato), quindi non subìto.
IL CASO
La direzione IT di un’azienda decide che è arrivato il momento di sostituire un vecchio software con uno di nuova generazione.
Quanto vedrai è un esempio di ‘struttura di un problema’ le cui logiche di base sono replicate e ravvisabili in molti altri contesti. Per lo stesso motivo, non sarà importante specificare a quale software in particolare alludiamo perché la dinamica non cambia: puoi liberamente pensare che sia una soluzione di mailing, di messaggistica interna, di reporting, di ticket per help desk, di CRM o altro.
Sta di fatto che il vecchio software (“SW” da adesso in poi) deve essere cambiato, o almeno questo è ciò che la dirigenza ha deciso.
LE CONDIZIONI INIZIALI
[N.B.: il procedimento potrebbe apparirti ingannevolmente semplice, ma così non è. La semplicità della rappresentazione grafica dissimula la difficoltà e le insidie che si celano dietro un particolare aspetto dell’intervento: l’individuazione delle variabili da studiare.]
Come tutti i sistemi complessi, anche questo presenterà le sue resistenze al cambiamento.
Per esempio, prova a pensare a quanti dipendenti vedranno di cattivo occhio il doversi formare nell’uso di un nuovo SW: sono anni che lavorano “tranquillamente” con un altro e non avranno affatto voglia di cambiare abitudini (la loro zona di comfort). In fondo è pur sempre un’esigenza del management e le persone fanno le cose per i loro motivi, non per i nostri, anche negli ambienti gerarchici!
La situazione corrente è questa:
Lo hai riconosciuto, è un Circolo di Rinforzo: il comfort (o piacere d’uso) del SW corrente ne provoca l’utilizzo, l’utilizzo continuato ne aumenta l’utilità percepita che, a sua volta rinforza il comfort.
Ciò che la direzione desidera, però, è che tutto questo accada per il nuovo SW, non per il vecchio!
I due cicli sono dunque antagonisti, si contendono cioè lo stesso bene, la stessa risorsa.
LA SCELTA DELLE VARIABILI
Eccoci alla prima domanda delicata: qual è l’asset o la risorsa contesa?
È forse il tempo trascorso dalle persone sul SW? Il numero di utenti? La quantità di dati trattati?
Questo passaggio è essenziale: da esso dipendono, a cascata, le scelte successive. Vediamo.
In un primo momento si potrebbe essere tentati dal credere che il “patrimonio conteso” sia il bacino di persone che decidono di usare il nuovo SW; d’altro canto l’obiettivo aziendale è esattamente quello. Purtroppo però sarebbe un inganno.
Lo so, sembra strano, controintuitivo, ma il problema è che, se ci pensi bene, ti ritroveresti con una finta soluzione, tautologica: messa in questo modo, infatti, un maggior uso del SW deriverebbe da un maggior numero di persone che lo usano. No, non ci siamo, non vuol dire niente, non ci aiuta.
Un s.t. non ragiona in termini analitici, lineari o “puntuali” ma in termini di flussi e di catene di causa-effetto e usa le forze interne del sistema affinché sia il sistema stesso a dirigersi verso il nuovo equilibrio. In altre parole si chiederà: “E cos’altro ha influenza su questa variabile?” (ricordi vero?).
E ancora: “Su cosa posso agire, al minor costo, per ottenere il risultato più solido e duraturo possibile?”
Qual è la variabile nel sistema (ripeto, nel sistema) che influenza il numero di persone che decidono di usare il nuovo SW?
…è più chiaro così?
Il vantaggio di individuare una simile variabile consiste nel ritrovarsi a lavorare con un impulso che è già presente nel sistema, è connaturato, non imposto da fuori. Insomma, un s.t. parte sempre un po’ più da lontano.
In questo caso, la direzione da prendere è indicata tutta nella frase di poco fa: le persone fanno le cose per i loro motivi, non per i nostri.
Perciò, considerato l’antagonismo dei due cicli e dovendoli inserire nello stesso sistema (dove, di fatto, si muovono), ecco il diagramma:
La variabile contesa, quella che determina il numero di utilizzatori del SW, è l’utilità percepita, e dunque il comfort che l’uso ne assicura!
Se vogliamo che i nostri collaboratori modifichino il loro comportamento o le loro abitudini spontaneamente, senza che ciò impatti in maniera negativa sugli equilibri relazionali e sulla qualità del lavoro svolto, dobbiamo fare in modo che sia per loro una scelta utile e confortevole, e a poco serve che a esserne convinti siamo noi!
A poco serve raccontarlo in tutte le salse possibili.
A poco serve organizzare incontri, seminari o, peggio, mandare circolari imponendone l’uso. Sappiamo bene quanto possa essere pervicace e subdolo il rifiuto, anche quando pare essere stato vinto: si manifesterà sotto forma di rallentamento del lavoro, di decadimento della qualità, di malcontento più o meno marcato, di una ridistribuzione caotica dei piccoli compiti, di deleghe spontanee non autorizzate ecc.
SPUNTI DI LEADERSHIP (sempre senza fuffa, ‘ché non ci piace)
Bene, mi sono voluto dilungare su questo punto perché, come hai capito, è un bivio di importanza capitale.
In azienda, oltre all’indagine sistemica occorre mettere in campo una visione del gruppo che metta al centro le persone e la loro autodeterminazione, il loro spirito di contributo, la loro unicità: si tratta di un momento fondante della leadership illuminata, quella di alto profilo.
“I manager sono persone che fanno le cose bene.
I leader sono persone che fanno le cose giuste”.
(Warren Bennis)
Ok, torniamo al nostro caso, abbiamo un diagramma da comprendere meglio.
Avrai notato che nel momento in cui ho unito i due cicli ho cambiato il segno di due variabili relative al ciclo del nuovo SW: ti è chiaro perché? L’etichetta della variabile condivisa recita ”Piacere d’uso del SW corrente vs. quello nuovo“ e non è scritta a caso.
Devi immaginare le due grandezze in rapporto fra loro, come in una frazione che abbia al denominatore quella riferita al SW nuovo; una volta fatto questo non ti resta che ripercorrere tutto il girotondo leggendolo con la regola che ormai dovresti conoscere: i segni + e – stanno a indicare che la grandezza alla fine della freccia cresce in maniera rispettivamente diretta o inversa rispetto a quella che si trova all’origine.
Va meglio, adesso? Ottimo, andiamo avanti.
Se è vero che la risorsa contesa è il comfort d’uso, come possiamo aumentare quello del SW nuovo?
Tutte le volte in cui è possibile, cerchiamo di evitare forzature e imposizioni perché quando un leader arriva a dover usare il ruolo (e quindi a dare ordini) per indirizzare il comportamento del gruppo, beh, come leader sta fallendo (i puristi direbbero che si è ridotto a fare il… manager, ma io cerco di essere un po’ più indulgente 🙂 ).
Quindi, ancora una volta, può venirci in aiuto la regola aurea di poco fa, la nostra ispirazione di base: le persone fanno le cose per i loro motivi, non per i nostri.
LEADERSHIP E BUONE IDEE NEL SISTEMA
Ciò che occorre, allora, è qualcosa che abbiamo già convenuto e cioè che le persone devono apprezzare in maniera spontanea e naturale il nuovo SW. Come fare perché ciò accada?
Serve che esse ne apprezzino l’utilità, non il comfort!
Il comfort è una condizione soggettiva che si crea in ciascuno con tempi e modi diversi, non possiamo insegnarlo; l’utilità invece, in un flusso di lavoro ben controllato, è risultato di caratteristiche funzionali.
IMPORTANTE – Il comfort del nuovo SW è l’effetto di una causa, non il contrario (dobbiamo stare attenti al più classico degli errori che noi essere umani commettiamo: l’inversione di causa ed effetto). Il comfort si concretizza nella capacità che il SW ha di risolvere problemi e soddisfare esigenze in modo efficiente… e sarà bene che a riguardo il vecchio SW fornisca prestazioni inferiori! D’altro canto deve essere per forza così altrimenti mi dici perché mai l’azienda dovrebbe investirci tempo, risorse e mal di pancia?
Ecco qui allora il nostro obiettivo strategico:
ULTIMO PASSO
Questo schema può essere usato come diagramma di base per i casi simili ma ogni caso ha contenuti diversi: è dall’indagine organizzativa che emergeranno intuizioni e idee su come raggiungere la meta.
Un caso reale fornisce sempre dati molto utili che qui non abbiamo: ciò che qui ci interessa infatti è il processo che ci ha portato a costruire il grafico, non quello che esso contiene.
A ogni modo, visto che ci siamo, vado un po’ di fantasia e provo a fare qualche esempio chiarificatore, qualche idea che si potrebbe applicare a una situazione simile.
– Possono esistere attività o lavorazioni che, seppur residuali rispetto al core aziendale, siano svolte con il vecchio SW in modo inefficiente: queste attività potrebbero essere premiate o incentivate così da indurre all’uso del nuovo SW e aprirlo alle abitudini aziendali.
– Si possono inserire nuovi standard di qualità, meglio se espressione di richieste risultanti da Service Quality Survey, sì, insomma, un sondaggio effettuato sia presso i clienti che all’interno dell’azienda: questi standard saranno garantiti dal nuovo SW.
– Possono essere ideati nuovi prodotti/servizi (o modificati alcuni già esistenti) nel cui ciclo di produzione – distribuzione – vendita – assistenza sia particolarmente utile usare il nuovo SW.
– Se l’azienda ha cicli di produttività stagionale o ricorrenti picchi di produzione, sarà utile inserire la nuova soluzione al momento giusto, evitando, per es., la fase di maggior concitazione.
RITOCCHI DA SYSTEMS THINKER
Noterai che queste ipotesi di intervento prendono sì spunto dal diagramma ma non ne seguono il dettato alla lettera; in altre parole richiedono un intervento “esterno” piuttosto incisivo e, in alcuni casi, reiterato. Oltre a ciò non sfruttano pienamente le forze interne del sistema.
Non si tratta di soluzioni sbagliate in senso stretto, ma l’aspetto sistemico può essere migliorato. Per sfruttare fino in fondo il significato della freccia t e della freccia y dovresti considerare interventi di questo tipo:
– Flusso t: più il vecchio SW si rivela utile, più quello nuovo fa altrettanto.
Compito: identifica una funzione del vecchio SW che sia stata incisivamente ampliata e migliorata nel nuovo e poi crea flussi o contest interni che premino le attività che richiedono l’uso di quella funzione.
Risultato: il vecchio SW è utile perché fa ancora il suo lavoro, ma quello nuovo lo fa meglio e in minor tempo permettendo di partecipare ai contest.
– Flusso y: più il vecchio SW viene usato, più viene percepita l’utilità del nuovo.
IDEA 1
Compito: crea flussi di lavoro che, svolti nel vecchio SW, possano essere controllati nel nuovo in maniera veloce ed efficiente.
Risultato: il vecchio SW svolge ancora il suo lavoro ma il controllo di qualità è appannaggio di quello nuovo (tradotto: più uso il vecchio SW più il nuovo si rivela utile).
IDEA 2
Compito: crea compiti o flussi di lavoro che possano essere svolti con entrambi i SW, ma che per una parte o sezione di ciascuno sia più agevole usare quello nuovo.
Risultato: il vecchio SW svolge ancora il suo lavoro ma quella parte che viene svolta più efficientemente dal nuovo SW favorisce la migrazione (le persone imparano a conoscerlo e a cercarlo anche per altri scopi).
N.B.: Queste due ipotesi mantengono la loro eleganza sistemica solo se le attività richieste possono essere completate con entrambi i SW; se così non è significa che stiamo agendo in maniera costrittiva, disperdendo il valore dell’esercizio. La nostra abilità deve consistere nel creare condizioni naturali affinché il secondo SW diventi via via preferito al primo.
CONCLUSIONE
Quella che hai visto è una prospettiva non condita con l’ingrediente necessario e irrinunciabile: l’indagine conoscitiva che, giocoforza, qui non avevamo a disposizione. Il procedimento seguito, tuttavia, non intacca la solidità sistemica delle soluzioni individuate, soluzioni che naturalmente possono essere più numerose.
Nella realtà, grazie all’indagine, abbiamo dati veri, aspetti concreti dell’azione quotidiana con i quali popolare i flussi del sistema e interpretarli in profondità.
Quello che ora credo non ti sfuggirà più è la netta differenza che passa tra una gestione del cambiamento miope, analitica, superficiale, cervellotica e forzosa e una naturale, fluida, duratura ed ecologica; sistemica, appunto.
Poco importa che nella realtà ti ritroverai a fare cose diverse: la struttura sarà la medesima, così come l’atteggiamento che dovrai tenere.
E poi, come potrebbe essere diversamente visto che, senza saperlo, ti sei imbattuto in un altro archetipo? Sì, proprio così, per tutto il tempo non abbiamo fatto altro che azzuffarci con il StS – Succes to Successfull – Successo al Successo 🙂
Che dici, ne parliamo una volta di queste?