Quando qualcosa in un’organizzazione va storto, la prima domanda che spesso viene posta è: “Di chi è la colpa?”
Se è sceso il fatturato o perdiamo clienti sarà colpa del reparto vendite, se le previsioni sono sbagliate sarà colpa degli analisti, se le consegne tardano sarà colpa della produzione o della logistica e così via.
Di fronte ai problemi cercare il colpevole sembra quasi un riflesso naturale, specie nelle organizzazioni; poi, una volta che lo abbiamo individuato, passiamo ai rimproveri o ai provvedimenti in merito, spesso ci arrabbiamo, minacciamo, facciamo leva sul senso di colpa (appunto) e cose simili.
In questo modo ci sembra di aver affrontato la questione ma in realtà stiamo consolidando un tipico e grave scenario disfunzionale: dove c’è colpa, non c’è apprendimento.
In un clima di colpa la prima vittima silenziosa è la verità.
La ricerca delle cause reali dei problemi, quelle radicate, si azzera e nel frattempo la dissimulazione e l’insabbiamento da parte degli incolpati raggiungono livelli pericolosissimi; tutti, in un regime di questo tipo, tendono infatti a proteggersi e a “cantare la mezza messa”: il risultato è che la realtà assume mille facce, nessuna affidabile.
L’indagine organizzativa anziché rivolgersi alla ricerca delle ragioni profonde, diventa così una caccia al colpevole, al capro espiatorio o alle streghe, la qual cosa stimola persino la delazione. In ultimo, l’intero sistema perde di efficienza, stabilità, potenziale di crescita, flessibilità, capacità di risposta, competenza e qualità dell’ambiente.
Dare la colpa ad altri è un piccolo e pulito meccanismo che puoi usare ogni volta che non vuoi prenderti la responsabilità per qualcosa nella tua vita. Usalo ed eviterai tutti i rischi e impedirai a te stesso di crescere.
(Wayne Dyer)
Hai presente la litania con cui ci ammorbano quasi quotidianamente, quella della produttività?
Bene, nelle aziende in cui vige il regime della colpa, la produttività subisce ferite mortali perché è impossibile prendere buone decisioni con informazioni scarse o distorte.
Eppure, e questo mi manda davvero fuori di testa, ogni volta che sento parlare di produttività dal genio di turno (ne trovi un esempio qui) non sento mai parlare del problema della trasmissione delle informazioni, del clima aziendale, dei modelli di leadership o di apprendimento delle organizzazioni: è per questi motivi che il regime di colpa costa denaro sonante.
Se, per es., due responsabili di due dipartimenti litigano fra loro accusandosi reciprocamente, perderanno l’opportunità di fare la cosa giusta, quella per la quale sono pagati (!): trovare una soluzione profonda al problema e aumentare l’efficienza del sistema.
Cosa occorre fare allora in questi casi, purtroppo molto più diffusi di quanto si immagini (spesso è la propria organizzazione a soffrire di questa malattia senza che ce se ne renda conto)?
Bisogna migrare dal modello organizzativo di colpa a quello di responsabilità.
DIFFERENZA TRA RESPONSABILITÀ E COLPA
La responsabilità è figlia di ruoli chiari, colloqui aperti e continui e di impegno organizzativo; nasce dalla chiarezza dei compiti, dei processi da utilizzare, degli standard richiesti e dei risultati attesi.
Le capacità relazionali e comunicative sono centrali (qua immagina mille punti esclamativi) perché, in un ambiente che valorizza la responsabilità, la discussione e il confronto sono veri e propri… asset.
Individuare le colpe significa censurare, rimproverare, innescare un processo emotivo che scredita l’accusato, significa inibire il contributo dei singoli, troppo timorosi di essere perseguiti; sostenere la responsabilità significa invece spostare l’attenzione sul mantenimento degli accordi, sulla loro rielaborazione condivisa, sulla richiesta di partecipazione.
Relazionarsi in termini di responsabilità comporta l’accettare che tutti possono sbagliare o bucare un impegno, anche noi; il principio di responsabilità aumenta la consapevolezza sugli errori e sulle carenze mostrandoceli come opportunità di crescita e di apprendimento. La responsabilità ci spinge a cercare le cause profonde dei problemi perché non abbiamo, né vogliamo, nessuno da incolpare.
In ambienti così ispirati i valori e le azioni sostenute sono:
– fiducia
– rispetto
– moderazione
– curiosità
– reciprocità
– indagini e ricerche
Tuttavia incolpare è più facile, ci fa sentire più potenti e fa parecchio comodo: fornisce una soluzione rapida, benché artificiale, a un problema complesso, ci fa illudere di avere in mano il controllo, di essere attivi nel processo di risoluzione. Ma alla fine crea solo paura e distrugge la fiducia.
CONSEGUENZE DELLA COLPA
È arrivato il momento di prendere in mano la matita e iniziare a inquadrare il problema dal punto di vista della dinamica dei sistemi.
Poco fa ho detto che la colpa rallenta e distorce il flusso delle informazioni riducendo così la possibilità di apprendimento dell’organizzazione e le sue capacità di innovazione; questo accade perché la colpa assegna la titolarità dei problemi agli altri ma, così facendo, li induce ad associare la “ricerca dei problemi” con le conseguenze negative, cioè le “punizioni”: in altre parole, provare a risolvere i problemi significa avere guai!
Si vengono a creare dunque due cicli causali in cui vediamo all’opera:
– i responsabili, che solo apparentemente svolgono un’indagine organizzativa alla ricerca di informazioni (in realtà cercano solo un colpevole)
– i componenti il gruppo che sentono di doversi proteggere nascondendo errori e informazioni e annientando di fatto il processo di apprendimento.
Tracciamo dunque il diagramma
Beh, di fronte a questo schema, chiunque insistesse col dire che uno stile di gestione autoritaria e inquisitoria non è un danno concreto e pesante per l’azienda, dovrebbe anche dichiarare Urbi et Orbi la propria inadeguatezza al ruolo, oltre a un consistente coefficiente di stupidità!
Non spenderò tempo a chiarire ulteriormente il grafico che, direi, è fin troppo chiaro: ti basterà percorrerlo seguendo la solita regola (i segni + e – stanno a indicare che la grandezza alla fine della freccia cresce in maniera rispettivamente diretta o inversa rispetto a quella che si trova all’origine.)
Dicevo che dare la colpa a qualcuno ci consegna la sensazione di sapere dove sia il problema: il guaio è che la stessa convinzione alberga anche nella testa dell’accusato per il quale il problema siamo noi. Secondo questo schema ognuno ha dunque la soluzione, peccato che nessuna delle due risolverebbe alcunché.
Come possiamo dunque lasciarci alle spalle una gestione da colpa per favorire interazioni basate sulla responsabilità?
Un primo passo consiste nel comprendere e accettare, una volta per tutte, la pericolosità e l’ineluttabilità delle dinamiche organizzative di colpa: un tatuaggio dello schema precedente potrebbe essere un’idea! Subito dopo dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo e ci comportiamo sul posto di lavoro.
IL CAMBIAMENTO
Ci sono tre livelli di specifico cambiamento comportamentale necessari per il passaggio dalla colpa alla responsabilità: il livello individuale, il livello interpersonale e il livello di gruppo od organizzativo.
In primo luogo, gli individui devono essere disposti a cambiare il proprio modo di pensare e i loro sentimenti riguardo la colpa; a questo scopo occorre prevedere azioni formative e di supporto perché il primo ostacolo risiede proprio nella disposizione personale e nel costo energetico che i singoli devono pagare per uscire da quella che, benché nociva, è a tutti gli effetti la loro area di comfort.
Una volta raggiunta questa consapevolezza, le persone hanno bisogno di imparare a negoziare con gli altri e accettare reciprocamente le responsabilità per i risultati ottenuti, da cui l’esigenza di una formazione seria in comunicazione, un passaggio imprescindibile: per me resta ancora un mistero cosmico la scarsa, quando non nulla, presenza di programmi di questo tipo in seno alle organizzazioni!
In ultimo, l’organizzazione deve sviluppare regole di ingaggio intergruppo cui attenersi per la risoluzione dei conflitti.
I programmi formativi, di affiancamento e di sviluppo personale nonché l’utilizzo degli approcci sistemici ai problemi contribuiscono in maniera decisiva a creare la cultura organizzativa evoluta, dinamica e flessibile necessaria per la sopravvivenza, il successo e il sano clima aziendale; senza queste precondizioni qualunque altro intervento teso ai medesimi risultati è destinato a fallire inesorabilmente.
[continua la prossima settimana]